Quartiere "Shangai"

In un interessante articolo uscito sul "Times" il 5 maggio 1947 e pubblicato nella raccolta "Avanti Popolo!" di Internazionale, si parla di Roma post-bellica e dei suoi quartieri.

“[…] A pochi chilometri di distanza sorgono quartieri poveri e sporchi, brulicanti di esseri umani. Il peggiore è soprannominato “Shanghai”, che per gli italiani è sinonimo di totale degrado. Lì vivono quindicimila persone in baracche di una stanza, dove i segni dell'acqua sui muri, oltre il livello dei letti, raccontano di allagamenti, piogge e fango. [...]”

Dopo questa lettura si rafforza l'ipotesi che il quartiere santasofiese soprannominato "Shanghai" debba il suo nome proprio alle precarie condizioni in cui versava dopo il sisma del 1918. Lì, infatti, erano numerose le baracche in legno provvisorie e molto alto il numero di abitanti, non è difficile immaginare magari la situazione di disagio che poteva sussistere. Questa area, posta sulla sponda sinistra del fiume Bidente, fu scelta poi per realizzare uno dei quartieri di edilizia economica asismica ad opera dell'Unione Edilizia Nazionale a partire dai primi anni ‘20 del XX secolo in risposta alle devastazioni del recente terremoto. Qui, come nel “Villaggio Perilli” lungo l’attuale viale Roma, si andava delineando una nuova Santa Sofia. Edifici all’avanguardia in termini costruttivi, divennero per tante famiglie dimore definitive dopo l'esperienza delle baracche provvisorie post-terremoto.

Di quartieri "Shanghai" ne esistono in altre città italiane, fra cui Livorno, Bolzano e Roma.

Le facciate vennero decorate da fregi, di cui sopravvivono alcuni lacerti, sottostanti gli sporti delle coperture e realizzati dalla “Scuola d’arte e mestieri”.

In foto: a sinistra si scorgono i tetti delle baracche di legno mentre in primo piano si vedono gli edifici di Via Gramsci in costruzione.

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